Irene Maiorino. Lila, splendida e fragile come il cristallo (2024)

Di quel bizzarro tracciato che è la vita, tra briciole di casualità, coincidenze e sliding doors aperte e poi richiuse, Irene Maiorino oggi sembra aver inquadrato il disegno più grande e completo. Il filo rosso che unisce questi segnali tratteggia un nome solo: Raffaella Cerullo. Ad esempio sua nonna materna, francese, indipendente, portatrice sana di un «sentimento di libertà» che Irene ha ereditato e s'è portata dietro fin qui, si chiamava Lina; e poi c'è la sua amica Alessia, che in tempi non sospetti le ha regalato i libri che compongono la saga più famosa di Elena Ferrante e le ha detto: «Dentro ci sei tu».

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Irene Maiorino è la cover digitale di Cosmopolitan Italia

Dopo tre anni di provini e un lungo periodo di vuoto in attesa del responso, dopo aver letto e riletto quei libri «sempre con occhi diversi, sempre in posti diversi», tutti quei segnali sono diventati un destino che forse era già scritto. E così l'11 novembre, in prima serata su Rai Uno e per cinque settimane, Irene Maiorino arriverà sul piccolo schermo nella persona di Lila, protagonista, insieme alla Elena Greco di Alba Rohrwacher e al Nino Sarratore di Fabrizio Gifuni, del capitolo finale della saga televisiva L'amica Geniale. Storia della bambina perduta, ispirato all'ultimo libro dell'omonima tetralogia di Ferrante. La quarta stagione della serie di HBO-Rai Fiction è diretta dalla regista Laura Bispuri ed è già andata in onda negli Stati Uniti, dove ha raccolto applausi a scena aperta, copertine e recensioni meravigliose; lo stesso entusiasmo si è replicato alla Festa del Cinema di Roma alla presentazione dei primi due episodi.

Maiorino, classe 1985, una lunga carriera teatrale e televisiva alle spalle (Gomorra 2, 1992 su Sky; I Bastardi di Pizzo Falcone e Il Commissario Ricciardi su Rai Uno) sa che ci sarà un prima e un dopo Lila, perché un personaggio così ti entra dentro e scava in punti segreti e oscuri che poi si fa fatica a riempire.

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Irene Maiorino e Alba Rohrwacher in una scena della quarta stagione de L’amica geniale

Dopo mesi di cammino a due e lunghe settimane sul set, ad agosto Lila/Irene e il cast della serie hanno esordito al Tribeca Film Festival di New York per il lancio internazionale, nel cuore di quell'America dove l'opera di Ferrante è diventata un sacrosanto cult. Il New York Times, non a caso, ha nominato L'amica geniale "Il libro più bello del 21esimo secolo". «La fascinazione per l’Italia, per il Sud e in particolare per la Napoli delle prime stagioni, pittoresca e neorealista, in America è fortissima», racconta Maiorino. «Gli archetipi della Ferrante, la sua scrittura, la storia di questa grande amicizia tra le protagoniste che ha come motore anche forze oscure sono cose in cui ci si può rispecchiare universalmente, oltre ogni barriera culturale e linguistica».

«Nel riconoscersi in questa sorellanza, in questo amore che lega Lila e Lenù anche in modo doloroso, trionfa una potenza narrativa giocata tutta sul femminile»

Nella nostra telefonata fiume Irene mi ripete più di una volta che dopo Lila non potrà più essere la stessa. «Questo ruolo mi ha cambiato per sempre, più di qualsiasi relazione, più di ogni cosa. Mi ha riportata a un certo mio modo di essere quando ero più giovane. Da bambina giocavo più con la fantasia che con le persone. Ero felice, solitaria, ribelle. E certi miei tratti di allora li ho ritrovati e riscoperti in Lila». Nata a Napoli, cresciuta a Cava de' Tirreni in provincia di Salerno e ora residente a Roma («ma non riesco a metterci radici: ci vivo da 15 anni e ancora non mi sento a casa»), ha capito di voler fare l'attrice guardando la scena finale de I ponti di Madison County, film del 1995 con Meryl Streep che continua, visione dopo visione, a squarciare l'anima degli spettatori. In terza liceo, inviata speciale della scuola al Giffoni Film Festival, è riuscita pure a parlare con Streep, suggellando in quell'intervista un sogno che stava nascendo.

«A me il cinema e la letteratura mi hanno rovinato la vita!», scherza citando il suo essere cervellotica e iper-analitica ma anche istintiva, un «mix micidiale» fiorito anche grazie al suo amore per la cinematografia. Finito il liceo si è iscritta al Dams e poi, partendo dalla sua passione di spettatrice, ha imboccato un percorso formativo a sua misura. Da lì i primi ingaggi, lo studio continuo e l'avvio di in un mestiere che, soprattutto durante la gavetta, è «confuso, travolgente, non sempre trasparente», soprattutto quando lo sfondo è la grande città.

«Lila è un personaggio graffiato, una donna d'azione, fattiva, ma anche un cristallo pronto a rompersi. Un personaggio archetipico legato alla Terra. Per me, una dea»

Lila non esiste, è il personaggio inafferrabile partorito dalla mente di un'autrice ancora più inafferrabile. Eppure la sua storia, il suo modo d'essere a volte contorto a volte limpido risuona in chi la scopre tra le pagine del libro e in chi l'ha ritrovata in questi anni nella serie. Per Maiorino, che dopo la lunga fase dei provini e dell'attesa ha poi trascorso nove mesi sul set con i colleghi a girare le scene dell'ultimo capitolo, quello di Lila è un ruolo difficile da staccarsi di dosso. «I miei genitori lo sanno e pure le persone con cui sono stata sono rimasti affascinati da questa mia totale immersione. Quando il lavoro finisce non è facile uscire dal personaggio, dirgli addio. Io come attrice ho dato tantissimo a Lila, ma a un certo punto è finita che è stata lei a dare e lasciare cose a me». Come Rohrwacher, sin dalla prima stagione voce fuori campo di Lenù che del racconto è narratore onnisciente, Irene per questo ruolo ha inizialmente seguito un flusso, anche estetico, già segnato da Gaia Girace e Margherita Mazzucco, le attrici che hanno interpretato Lila e Elena nelle prime tre stagioni, dall'adolescenza e fino all'età adulta. «Ho guardato la prossemica di Gaia, il modo in cui muove la bocca, per dare continuità al personaggio. Non ho preso il sole per due anni per avvicinare il mio incarnato al suo. Ma il resto è frutto del lavoro sul set e anche fuori dal set, perché certe scene, soprattutto quelle più emotive, te le devi portare a casa».

Di Lila e Lenù s'è detto tanto: ne hanno parlato filosofi, letterati, se ne discute nei book club, nei circoli intellettuali, in tv, in Italia e pure in America. Chi è l'amica geniale, Elena o Lila? Al lettore l'ardua sentenza, una risposta unica non c'è. Per Irene «la cosa più interessante è la loro dicotomia: della prima sappiamo tutto perché ce lo racconta, Elena è inserita nella realtà, la vive attivamente; la seconda invece è frutto della sua narrazione, la conosciamo attraverso i ricordi e le parole di Lenù. Per questo Lila sfugge a ogni tipo di comprensione, rimane sempre un personaggio misterioso e archetipico che racchiude tante sfaccettature del femminile. Nella quarta stagione la vedremo prima diventare una donna di potere, una sorta di oracolo, una divinità che fa e disfa, poi infrangersi come un cristallo, rompersi intorno a una crepa».

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Fabrizio Gifuni e Irene Maiorino

La crepa di Lila si chiama "smarginatura": un concetto che ormai è diventato un classico di genere, un topic della psicologia, uno spunto di riflessione e un riflesso di sé per milioni di persone. Nell'ultimo capitolo Lila torna a smarginarsi, ovvero a perdere contatto con la realtà e a provare in modo violento le sue emozioni in un modo che la spaventa e da cui cerca di sfuggire per tutta la vita. «Per me nella sua smarginatura Lila è un cristallo che si rompe. Sembra di pietra ma in realtà chi la guarda bene può scoprirne le fragilità».

Nel quarto libro Lila vive un ultimo, drammatico episodio di smarginatura e ne fa un monologo molto potente, che per Irene è stato un banco di prova sia ai casting che sul set. «Ho indagato a fondo quelle parole da sola prima di portarle davanti alla telecamera. Ho usato il corpo per provare a rendere questa sua condizione interiore. È un monologo bellissimo anche da traslare nell’attualità, dato il periodo storico spaventoso che stiamo vivendo».

«Per Lila il mondo è dentro un involucro di finzione e quando il filo si spezza lei vede le cose per come sono davvero: la gente non guarda dentro la crepa, lei ci riesce e ne è terrorizzata»

Ma come si fa a entrare in un corpo simile quando la mente del personaggio è così oscura? «Nella vita sono cervellotica, ma nel lavoro cerco di essere concreta e questo ha aiutato. Ho fatto un lavoro di lettura e di approfondimento a 360 gradi. Poi ho condito il personaggio di tantissime cose, non solo sulla recitazione. Ho cercato di non stare in un'idea precisa ma di provare a cercare, attraverso tantissimi tentativi, la mia Lila». Parallelamente, mi dice, «ti devi togliere di mezzo come persona. Senza cancellare nulla di chi sei, senza perdersi, ma devi lasciare spazio all'altro». Un lavoro fisico, necessario per restituire a Lila la sua anima graffiata.

In questo ultimo capitolo, dati gli avvenimenti della vita adulta di Lenù, ritroveremo nuovamente il suo amore adolescenziale (che è pure l'amore adolescenziale di Lila) Nino Sarratore - Fabrizio Gifuni nel pieno dell'età matura, ancora una volta catalizzatore di astio e repulsione da parte dello spettatore/lettore per il suo continuo tradire e mentire. Per Irene Maiorino però ogni personaggio dell'universo Ferrante è da difendere perché, a suo modo, umano. «Trovo che il personaggio di Alfonso (Renato De Simone, n.d.r.) sia gigantesco e commovente. E che Enzo (Pio Stellaccio, n.d.r.) sia una figura maschile diversa e fondamentale, per Lila è una sorta di smarco, un destino che, con pazienza, le regala qualche anno di speranza».

Mentre aspetta di raccogliere i frutti del suo lavoro ne L'amica geniale, alla fine della telefonata Irene Maiorino mi confessa che questo per lei è un momento di attesa, più che di pienezza. «Mi trovo in un limbo, in una fase di passaggio. Non mi sento arrivata, non lo vivo come un traguardo. Emotivamente il mio non è mai un lavoro facile perché ti dà tanto ma ti sfinisce anche, ti rende insicura. Sei sempre a lavorare su di te, sei sempre tu che devi spostarti». Lila però l'ha aiutata anche a ricentrarsi, mi dice salutandomi. «Per me fare l'attrice è dedica totale, immersiva. C'è stato il rischio che mi addomesticassero, ma questo ruolo mi ha ricordato che, comunque vada la vita, voglio rimanere fedele a me stessa».

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